Prima
di entrare nel merito della missiva intendiamo esprimere la nostra,
piena, solidarietà al lavoratore selvaggiamente malmenato dalla polizia
nei giorni scorsi, a Genova, nel corso di una, legittima, protesta
operaia.
Ma
fatta questa, doverosa, comunicazione non possiamo esimerci dal
ribadire tutto il nostro disappunto nei confronti delle manifestazioni
di giubilo che abbiamo registrato nel periodo immediatamente successivo
la comunicazione della presentazione – da parte governativa – del,
cosiddetto, “decreto salva occupazione” che – per
quanto riguarda il siderurgico di Taranto – dispone il dissequestro
degli impianti altamente tossici con, conseguente, facoltà d’uso
restituita ai Riva che – unitamente all’illustre (e latitante) rampollo –
potranno continuare ad arricchirsi sulla pelle dei cittadini e dei
lavoratori del capoluogo ionico.
Pur comprendendo le ragioni umane che le hanno prodotte invitiamo caldamente i colleghi della “filiera”
ILVA a riflettere affinché non assumano atteggiamenti e posizioni
strumentali alla proprietà ovvero che non si trasformino,
oggettivamente, in “truppe cammellate” al soldo dei Riva e dei
loro sodali che (anche in ambito sindacale) hanno già ammorbato l’aria
di Taranto promuovendo manifestazioni e blocchi di piazza “telecomandati” i quali - a fronte di bibite fresche e panini imbottiti distribuite agli “scioperanti”
dalla direzione aziendale - avevano il solo scopo di penalizzare la
città ed i suoi abitanti senza incidere minimamente sulla proprietà
ovvero sulla produzione. Che - in tutti questi mesi - è continuata a
pieno regime nonostante il sequestro procurando ulteriori ed ingenti
profitti per la proprietà e dolorosissimi lutti tra i lavoratori.
Come autorevolmente pubblicato nei giorni scorsi dalle pagine di un periodico nazionale “lo
studio Sentieri, condotto dall’Istituto superiore di sanità, ha
chiarito una volta per tutte lo stato di compromissione della salute
della popolazione di Taranto. La mortalità nell’area dell’Ilva è
superiore dell’11 per cento rispetto all’aspettativa di morte di tutti i
cittadini pugliesi. E sono soprattutto le donne a soffrire: 75 per
cento in più di tumori al fegato rispetto al resto della popolazione, 43
in più di linfomi non Hodgkin, 80 dei tumori all’utero, 48 di quelli
alla mammella, 100 per cento allo stomaco e 48 ai polmoni. Nella
popolazione maschile non va meglio, con un aumento del 30 per cento di
tutte le neoplasie e un picco del 100 in più per il mesotelioma
pleurico, quel terribile tumore incurabile che avvolge come in una
rigida ragnatela la superficie dei polmoni e nel giro di pochi anni
soffoca il malato, togliendogli il respiro tra atroci dolori che solo la
morfina riesce a lenire. Lo studio Sentieri stabilisce anche un altro
fatto: “Lo stabilimento siderurgico, in particolare gli impianti
altoforno, cokeria e agglomerazione, è il maggior emettitore nell’area
per oltre il 99 per cento del totale ed è quindi il potenziale
responsabile degli effetti sanitari correlati al benzopirene”. Dunque
la colpa è da addebitarsi alla direzione aziendale dell’Ilva. E’ appena
il caso di rimarcare che, dietro ai dati che fanno rabbrividire, ci
sono persone in carne e ossa. Drammi umani, ricoveri in ospedale,
chemioterapia, famiglie cancellate, orfani. L’ombra della morte che cala
su un’intera comunità. Se non si capisce tutto questo, o si fa finta di
non voler capire, allora non si è in grado di comprendere il valore
della dignità umana coniugato al diritto al lavoro ed alla salute.
Né
possiamo ignorare quanto affermato in un comunicato stampa dal
vicepresidente di Medicina Democratica che, tra le altre cose, recita: (le
prescrizioni della magistratura) (…)” non possono e non devono essere
messe in discussione attraverso la promulgazione di uno strumentale
decreto governativo, che trova il plauso peloso da parte di chi per
decenni ha girato la testa dall’altra parte (sindacati, enti locali,
regione, Asl ed enti pubblici preposti ai controlli e alla tutela della
salute, della sicurezza, dell’igiene del lavoro e della protezione
dell’ambiente)”.
Come
Unione Sindacale Italiana vogliamo ribadire, ancora una volta, che le
condizioni di lavoro, la vita e la salute dei lavoratori e dei loro
familiari e concittadini non sono merci interscambiabili a seconda della
convenienza oggettiva e vanno sempre e comunque difese e tutelate.
Pertanto ogni altro interesse economico, sociale, politico o di altra
natura che confligge con esse deve cedere il passo e questo non già per
un rigoroso rispetto della Carta fondamentale (artt. 32 e 41 della
Costituzione) alla quale non crediamo perché consapevoli che –
all’occorrenza e per opportunità politica, finanziaria ed economica –
può essere sempre emendata o ignorata (come nel caso in oggetto) ma per
un elementare principio etico: non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te.
E'
la storia che ci ha insegnato e fatto toccare con mano come i padroni,
sulla sicurezza, hanno sempre cercato di fare profitto e tutt'ora, se
riescono e come i fatti di Taranto confermano, continuano su questa
strada. E' vero per la Cementir, per l'Eni, come per l'Ilva. Però se
facciamo un passo indietro e torniamo nei momenti più caldi delle lotte
nei posti di lavoro, partendo dagli albori del movimento operaio,
attraversando gli anni sessanta e tutto il decennio dei settanta del
secolo scorso, la lotta per la salute e la sicurezza sui luoghi di
lavoro è stata una delle più importanti sulle quali si ponevano spesso
le basi per lotte inerenti interessi di carattere politico generale.
Lotte che hanno avuto la capacità di fermare stabilimenti, di creare
auto-organizzazione solidale autonoma e mettere in ginocchio i padroni
arrivando a ottenere vittorie e diritti, in un orizzonte di
trasformazione “inclusivo” del sistema produttivo ovvero: che abbatteva ogni conflitto tra lavoratori di tutte le aree geografiche del Paese e … “resto della popolazione”.
Non
lasciatevi, dunque, strumentalizzare da coloro i quali sfruttano la
vostra paura di perdere il posto di lavoro e vi ricattano con lo
spauracchio dei licenziamenti e della disoccupazione e unitevi,
idealmente, ai lavoratori tarantini nella loro battaglia per il diritto
ad un lavoro sicuro senza essere costretti a mettere a repentaglio la
loro salute e quella dei loro congiunti.
Perché
è di questo che si parla e, oggi più che mai a Taranto e non solo, il
ricatto “lavoro in cambio di profitto e impunità” è ancora sul tavolo.
Spetta a tutti noi e alla nostra intelligenza solidale rovesciarlo!
UNIONE SINDACALE ITALIANA - AIT
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